azione di riduzione - Avvocato Successioni Milano - Avv. Pedrazzoli

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AZIONE DI RIDUZIONE
 
 
Le azioni a tutela dei diritti ereditari
 
 
Nel nostro ordinamento non è possibile escludere dalla successione determinati soggetti che, come più sopra abbiamo specificato, sono il coniuge, i figli e gli ascendenti.
 
Qui di seguito si forniscono delle nozioni sul principale rimedio che la legge pone a tutela dei diritti di coloro i quali sono titolari di una quota di riserva: l’azione di riduzione.
 
 
Il primo passaggio da valutare: l’accettazione con beneficio d’inventario
 
 
Il codice civile, all’art. 564 c.c., prevede che il legittimario, che ritenga di essere stato leso, possa esperire l’azione di riduzione delle donazioni e dei legati solo se abbia preventivamente accettato l’eredità con beneficio d’inventario, fatto salvo il caso che delle dette liberalità non abbiano beneficiato soggetti chiamati come coeredi anche se hanno rinunciato all’eredità.
 
Questa previsione di legge è molto delicata nel suo funzionamento in quanto nel momento in cui si verifica una lesione del diritto di riserva e vogliamo agire in riduzione può capitare che, per una ragione o per un’altra, non siamo stati in grado di individuare e valutare appieno tutti gli atti di disposizione posti in essere dal defunto.
 
Può, cioè, verificarsi il caso nel quale siamo convinti che tutte le disposizioni testamentarie e le donazioni, dirette ed indirette poste in essere, siano state fatte a favore di coeredi e perciò riteniamo superfluo accettare con il beneficio d’inventario.
 
Il consiglio preferibile in questi frangenti è quello di accettare sempre l’eredità con il beneficio d’inventario per mettersi al riparo da possibili conseguenze molto negative e le ragioni di ciò sono molteplici.
 
La prima è che anche l’eventuale decadenza dal beneficio di inventario non elimina gli effetti previsti dalla norma. Si può, quindi, essere tranquilli di poter agire in riduzione anche se una volta accettato con beneficio d’inventario si è decaduti.
 
La seconda è che la giurisprudenza considera l’accettazione con beneficio d’inventario una vera e propria condizione di ammissibilità dell’azione di riduzione (Cass. Civ., Sez. II, 31 agosto 2011, n. 17896; Cass. Civ., Sez. II, 23 febbraio 2011, n. 4400; Cass. Civ. Sez. II, 10 febbraio 1987, n. 1407).
 
Occorre, tuttavia, precisare che l’accettazione con beneficio d’inventario è un presupposto per l’esercizio dell’azione di riduzione solo per coloro che sono chiamati all’eredità e non, invece, per chi è stato pretermesso e proprio per tale ragione non può accettare l’eredità né con il beneficio d’inventario né puramente e semplicemente.
 
Altra importante cosa da dire è che l’obbligatorietà dell’accettazione con beneficio d’inventario per esperire l’azione di riduzione sussiste sia nel caso di successione regolata da testamento sia di successione regolata dalla legge.
 
Nel caso in cui il legittimario leso non abbia preventivamente accettato l’eredità con beneficio d’inventario ed esperisca l’azione di riduzione sarà da considerarsi erede puro e semplice.
 
 
L’azione di riduzione in senso stretto
 
 
Si suole definire azione di riduzione in senso stretto quella che ha ad oggetto le disposizioni testamentarie, siano esse istituzioni d’erede o legati.
 
La legge prevede un ordine in forza del quale si riducono le disposizioni poste in essere dal defunto e perciò occorre iniziare dalle disposizioni testamentarie per, poi, proseguire con le donazioni partendo dall’ultima e risalendo poi a quelle anteriori.
 
L’azione di riduzione è diretta a far valere l’inefficacia totale o parziale della disposizione a seconda dell’entità della lesione che si vuole integrare.
 
 
L’azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte
 
 
L’azione di restituzione è una conseguenza diretta del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione posta in essere ed è diretta al recupero in favore del legittimario dei beni che si trovano ancora nella disponibilità del soggetto che li aveva ricevuti per testamento o per donazione.
 
 
L’azione di restituzione contro i terzi aventi causa del soggetto beneficiato
 
 
Può accadere che il soggetto che sia stato beneficiato della disposizione per la quale abbiamo agito in riduzione abbia alienato a terzi il bene che si intende recuperare.
 
Questa è un’operazione possibile anche se trova dei limiti di legge importanti.
 
Il primo e più rilevante è di carattere temporale, in quanto i termini per promuovere l’azione recuperatoria non decorrono a far tempo dalla data di apertura della successione, ovvero del decesso, ma dall’atto di liberalità che ha provocato la lesione.
 
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 561 c.c. i beni immobili oggetto di donazioni lesive della quota di riserva vengono liberati dalle ipoteche e dai pesi su di essi gravanti solo se l’azione di restituzione viene esercitata prima del decorso di venti anni dalla trascrizione della donazione.
 
Questo significa che il decorrere del termine di venti anni ha quale conseguenza che l’acquisto del terzo è fatto salvo così come anche l’iscrizione di una garanzia reale. Ai medesimi termini prescrizionali previsti dall’art. 561 c.c. soggiace anche il caso in cui il donatario abbia alienato a terzi l’immobile.  L’azione recuperatoria potrà essere posta in essere, previa escussione del donatario, nel termine di venti anni dalla donazione. Come ci si può, allora, tutelare in ipotesi nelle quali essendo in vita una persona, della quale saremo potenziali legittimari, ponga in essere donazioni che valutiamo essere potenzialmente lesive in futuro, come per esempio del padre in favore dell’amante? La legge prevede uno specifico rimedio che consiste nella notifica al donatario di un atto di opposizione alla donazione. In questo caso il legittimario leso conserva il diritto di proporre l’azione di riduzione anche decorso il termine ventennale di prescrizione.
 
 
La rinuncia all’azione di riduzione
 
 
L’erede che sia stato leso nei propri diritti di riserva può anche scegliere di rinunciare a proporre l’azione di riduzione. Le ragioni possono essere le più diverse. Si faccia l’esempio di Andrea che morendo ha disposto della sua eredità con testamento in favore dell’unico figlio Stefano per una quota di eredità che esaurisca quasi per intero l’asse ereditario mentre alla moglie ha lasciato unicamente una esigua somma di denaro ben lontano dal soddisfare la propria quota di riserva.
 
In questo caso la moglie per favorire il figlio ed in ragione di dinamiche familiari, magari già decise con il marito in vita, può ben decidere di favorire il figlio rinunciando all’azione di riduzione.
 
La rinuncia all’azione di riduzione può essere fatta solamente successivamente all’apertura della successione e da chi è titolare di una quota di riserva sull’eredità di cui trattasi o dai suoi aventi causa come, ad esempio, chi gli succede per rappresentazione.
 
Vi è anche la possibilità che la persona, che sia stata lesa in propri diritti ereditari, decida di rinunciare a proporre l’azione di riduzione ma non con lo spirito liberale di voler favorire un altro erede riservatario ma dietro il corrispettivo di un prezzo.
 
Si tratta di un’ipotesi assai comune che spesso si concretizza in una fase transattiva.
 
 
L’atto stragiudiziale di opposizione alla donazione
 
 
Così come già accennato più sopra, il nostro legislatore è intervenuto di recente per regolamentare il fenomeno delle donazioni effettuate in vita nel tentativo di stabilizzarne gli effetti rispetto alla disciplina dell’azione di riduzione che per sua natura è molto aggressiva.
 
In pratica ha fissato un termine ventennale decorso il quale, senza che sia stata fatta alcuna opposizione, come si dirà qui di seguito, l’azione di riduzione non potrà avere il risultato della restituzione del bene oggetto di donazione.
 
Lo ha fatto modificando l’articolo 563 c.c. e prevedendo che il coniuge o i parenti in linea retta del donante possano, entro venti anni dalla trascrizione della donazione, notificare e trascrivere un atto stragiudiziale di opposizione.
 
La proposizione della opposizione ha l’effetto di sospendere il termine ventennale.
 
La norma così come riformata fa salvi gli effetti di cui all’articolo 2652 c.c. n. 8 il quale stabilisce che, qualora le domande di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie debbano essere trascritte, perché per esempio hanno ad oggetto il diritto di proprietà di un immobile, se la relativa trascrizione è eseguita dopo dieci anni dall' apertura della successione, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.
 
L’articolo 563 c.c., così come modificato dal legislatore, prevede, quindi, una limitazione temporale alla possibilità di proporre azione di riduzione quando ha finalità recuperatoria verso i terzi la quale può essere esperita unicamente nel termine ventennale dall’atto di donazione sempre previa escussione del donatario.
 
 
La prescrizione dell’azione di riduzione
 
 
Il termine per esperire l’azione di riduzione è di dieci anni e decorre dal momento dell’apertura della successione.
 
Nel caso si tratti di chiamati successivi il termine di dieci anni decorre da quando diviene attuale il diritto di accettare l’eredità.
 
Esempio classico è quello del primo chiamato sotto condizione. Il termine per il chiamato successivo decorrerà dal momento in cui il primo chiamato avrà perso il diritto di accettare e, quindi, da quel momento decorreranno i dieci anni.
 
 

Avvocato Antonio Pedrazzoli
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Partita IVA: 02073100030
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